Identità culturale e arte: Intervista alla giovane pittrice Helena Parada Kim

Ancora una volta proviamo ad addentrarci nella complessità che il concetto di identità culturale porta con sé e per farlo abbiamo deciso di parlarne con Helena Parada Kim, giovane pittrice di origine coreano-spagnola, nata e cresciuta in Germania a Colonia. Helena è figlia di un’infermiera coreana trasferitasi in Germania a metà degli anni ‘60 e di un ex sacerdote spagnolo dall’incredibile sensibilità artistica.

Al centro della sua ricerca artistica emerge la volontà di esplorare il tempo e lo spazio in rapporto alla sua storia familiare. Senza sbavature nostalgiche attinge al suo passato, risale alle sue origini e con incredibile equilibrio riesce a calarlo nella sua realtà. Non c’è spazio per una rappresentazione sospesa del tempo, ciò che vediamo è il presente rielaborato e ricomposto in modo unitario a partire dai suoi ricordi più intimi.

A settembre Helena sarà in Italia per un’esibizione pop up vicino Mantova. Mentre aspettiamo di poter vedere le sue tele, possiamo leggere le sue parole.

Le radici delle tue origini sono incise nel tuo nome : origini coreane e spagnole, eppure sei cresciuta in Germania. Immagino che la tua infanzia sia stata alquanto insolita.

Ciao Claudia, cercherò di rispondere alle tue domande in modo spontaneo. Il mio nome contiene le mie origini ovviamente, sono nata nel 1982 a Colonia, i miei genitori si sono incontrati proprio lì per lavoro. Mia madre è arrivata in Germania nel 1965, è stata una delle prime donne coreane a trasferirsi in Germania per lavoro in qualità di infermiera. All’epoca, infatti, c’era un accordo particolare tra il governo tedesco e quello coreano poiché sia gli ospedali tedeschi che le case di cura per anziani non disponevano di personale infermieristico a sufficienza.

La Corea era ancora devastata dalle conseguenze della guerra, negli anni ’60 era uno dei paesi più poveri al mondo. Mia madre che aveva solo 19 anni è arrivata in Germania insieme a sua sorella, mia zia. Nonostante non fosse usuale, è stato mio nonno a chiedere a mia zia di andare con mia madre, data la giovane età. Ha incontrato mio padre durante il periodo di formazione, svolto all’interno di una residenza; mia madre era cattolica, è arrivata in Germania grazie a un prete missionario tedesco, e mio padre che aveva 28 anni ed era un prete spagnolo stava pensando di lasciare la Chiesa. Prima di arrivare in Germania era stato in Messico come insegnante e in Italia, a Roma, per cinque anni; Colonia doveva essere una tappa momentanea e invece si sono conosciuti per caso.

Possiamo dire che è stato alquanto strano, soprattutto quando si sono sposati. Non si è trattato di un vero e proprio scandalo ma probabilmente è stato visto come una sorta di provocazione.

Quando ero una bambina il coreano era la lingua di mia madre, ci parlava sempre in coreano e infatti all’epoca parlavo coreano discretamente. Sono entrata prima alla scuola coreana e poi in quella tedesca. La prima impressione e il primo ricordo della scuola coreana sono quelli legati all’arrivo in classe: tutti i bambini erano in piedi con la mano sul petto e cantavano l’inno nazionale coreano. È incredibile come il mio primo ricordo di infanzia sia legato proprio a questo.

In Germania una cosa del genere non poteva accadere visto che dopo la II guerra mondiale il Nazionalismo è stato eliminato. Al contrario, negli anni ’70 e ’80 in Corea c’era la dittatura, il governo militare e il nazionalismo era estremamente presente anche nella comunità coreana in Germania. Crescendo ho sviluppato un sentimento ambivalente nei confronti delle mie origini coreane, volevo essere tedesca quindi ho iniziato a mettere da parte, trascurare qualunque cosa fosse legata alla Corea.

Tutto ha avuto inizio con un vecchio album di foto. Sono state proprio quelle foto a far nascere in te la curiosità per la cultura coreana e il lavoro di tua mamma. Quando hai capito che saresti diventata un’artista e avresti reso il concetto d’identità il perno su cui realizzare le tue opere?

Quando ho iniziato a frequentare l’Accademia ho iniziato a guardare vecchi album di fotografie che contenevano foto di giovani infermiere nelle loro uniformi, bellissime, e estremamente diverse rispetto a quelle attuali. Lì ho iniziato ad affrontare e confrontarmi con le mie origini. Vedere tutti quei posti in cui ero cresciuta e le donne coreane, giovani donne, nelle loro uniformi non solo era nostalgico ma era un modo per confrontarmi con la mia biografia, i miei ricordi, ed è stato in quel momento che ho cominciato ad affrontare l’eredità delle mie origine coreane.

Fin da quando ero piccola ero sicura che sarei diventata una pittrice perché mio padre era un pittore e scultore talentuoso e dotato. Faceva dei disegni bellissimi e mi ha insegnato a disegnare molto presto e durante le elementari già lo sapevo. Disegnavo sempre. I miei disegni erano abbastanza belli e quindi mi accorsi che era qualcosa che nessun altro sapeva fare. E così disegnavo, disegnavo, portavo il blocco sempre con me e ho mantenuto l’abitudine anche dopo. Anche mio padre mi ha sempre supportato nel mio desiderio di diventare un’artista. Guardavamo insieme video del restauro della Cappella Sistina a Roma e in quei momenti anche io volevo diventare una restauratrice e la passione per tutti i grandi maestri e gli artisti è proseguita fino ad oggi. 

Hai deciso di essere una pittrice. Generalmente l’arte è un modo per riflettere su se stessi. L’arte, infatti, implica domande e le opere dell’artista sono il suo modo di rispondere a tali domande. Quali sono le tue? Sei riuscita a trovare delle risposte?

Sì, ho trovato risposta alle mie domande. Forse all’inizio uno si pone domande diverse è come se fosse una sorta di ricerca; ora per esempio è un approccio a questo paese, la Corea, che è ancora lontana da me. Quando sono lì tutto ha un aspetto familiare ma allo stesso tempo rimane ancora molto distante. Continuo a essere una straniera per la Corea, non sarò mai accettata come coreana e tra l’altro il mio coreano è terribile. Credo che il mio sguardo verso la corea sia ancora distante, direi che ancora non ho risposto a tutte le mie domande ma le mie reminiscenze o il mio aver ridato qualcosa a mia madre sono sicuramente cose che ho raggiunto.

Le tue tele indagano alcune tematiche complesse e quanto mai delicate: identità, il passato e i riti ancestrali. Quando ci troviamo di fronte ai tuoi dipinti vediamo degli elementi del passato ma calati nel contesto contemporaneo. La Corea che conosci è quella di tua madre e dei tuoi parenti, un paese che non esiste più. Sembra che tu stia cercando di non far scivolare via il passato e di dimostrare tutto il tuo amore per la tua famiglia.

All’inizio la questione dell’identità non era al centro del mio lavoro perché semplicemente amavo i ritratti poi, quando ho iniziato l’accademia ho cominciato a sentirmi sempre più coinvolta nella cultura coreana. Quindi progressivamente è diventato sempre più importante. I dipinti degli Hanbok sono una sorta di ritratto perché anche se non si vedono i volti ti rendi conto che si riferiscono a delle persone, sono semplicemente nascoste. È una sorta di reminiscenza delle persone che ho dipinto che sono tutte persone speciali per me perché sono mia zia, mia madre, parenti e altre donne coreane che hanno indossato l’Hanbok per me. Li vedo come ritratti quindi.

In passato hai dipinto infermiere coreane con vecchie uniformi, adesso invece ti stai concentrando sulle nature morte, il cui obiettivo è quello di sospendere e fissare il tempo per mantenere vivi i ricordi. I tuoi dipinti ad olio degli Hanbok, abiti tradizionali coreani, sono incredibili. I colori vibranti ed evocativi.

Quando ho cominciato a dipingere tematiche legate alla Corea, ho iniziato con degli album di fotografie, successivamente invece ho iniziato a prendere in prestito Hanbok da parenti e amici coreani e li ho ritratti. Dopo molti viaggi in Corea, sono rimasta affascinata dai riti Jesa, riti ancestrali.

Nel momento in cui ho visto la disposizione di frutta e cibo sulla tavola, spontaneamente mi sono venuti in mente i grandi maestri europei di nature morte; quando hai avuto l’opportunità di studiare numerosi artisti e ti capita di vedere qualcosa di così bello riesci a cogliere differenze e similitudini e così ho iniziato la serie di still life sui Jesa. Si possono vedere le influenze degli artisti europei: la luce, lo sfondo nero ma ovviamente in un contesto culturale completamente diverso e questo è qualcosa che mi interessa approfondire. Mi piace riuscire a fondere le tecniche occidentali e quelle orientali, l’estetica asiatica. Il risultato può essere impressionante ma ovviamente senza eccedere.

Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato?

Direi che le mie fonti di ispirazione sono prevalentemente pittori spagnoli come Velasquez o Zurbarán e infatti si possono vedere dei sottili riferimenti a questi vecchi maestri nei miei quadri sia nella scelta delle tecniche utilizzate che nella texture. Non posso dire di avere un unico pittore preferito ma molti. Ad esempio amo tutti i ritratti moderni così puri e minimalisti dei Confuciani durante il periodo Joseon. Sono dei ritratti bellissimi. Non è facile riuscire a vederli in Corea perché la maggior parte si trova in Giappone o nei magazzini visto che sono estremamente delicati e si preferisce non esporli. Generalmente hanno uno sfondo neutro con delle figure naturalistiche, i vestiti bellissimi e le facce che guardano dritte davanti a sé prive di emozioni ma la pelle è dipinta in modo così naturalistico che ne sono completamente affascinata.

Al momento i tuoi lavori sono in mostra a Seoul con il “Korean Eye 2020: Creativity and Daydream”, un’esibizione collettiva itinerante comprendente 26 artisti coreani e da poco lo sono stati a Colonia con “Caché”, una mostra individuale che include dipinti degli ultimi due anni. Progetti futuri? Qualcosa in Italia magari…

Sì, sarò presto in Italia per una mostra, una sorta di mostra pop up, sarà a settembre, precisamente il 24 di settembre in una città vicino Mantova – Pegognaga – all’interno di una Villa meravigliosa Villa Angeli. Si tratterà di un unico giorno ma sarà speciale visto che la Villa, appartenuta ai Gonzaga nel Cinquecento, è bellissima. Ci saranno i miei dipinti appesi insieme a quelli dei vecchi maestri, ci sarà anche una programmazione musicale e sarà all’insegna del divertimento.

Foto per gentile concessione di Helena Parada Kim

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