Le parole di Kim Jung Min, un ponte prezioso per avvicinarsi al P’ansori

Negli ultimi anni, grazie all’esercizio del cosiddetto soft power, la cultura coreana è esplosa in Italia e nel mondo. K-pop, K-food, K-drama sono diventati termini familiari ed esperienze fruibili quotidianamente. Il p’ansori, narrazione musicale che affonda le proprie radici nella tradizione, è una delle espressioni artistiche che meglio permettono di apprezzare il fascino della lingua e cultura coreana, eppure è ancora poco conosciuta a causa della difficoltà di assistere a tali esibizioni. Ecco perché Heungboda – Il suono della Corea è un evento imperdibile per poter ammirare dal vivo la vicenda dei fratelli Heungbo e Nolbo – il primo povero ma capace di provare empatia, mentre il secondo sì facoltoso ma arido di sentimenti -, legata alla natura magica di due semi di zucca.

Elementi fiabeschi e magici costruiscono l’incanto che pervade l’intera narrazione. Quest’ultima è affidata a una sorikkun (cantante) e un gosu (percussionista) che utilizza un tamburo chiamato buk; in questo caso rispettivamente a Kim Jung Min e Choi Kwang su.

Il p’ansori, sviluppatosi nel XVII secolo, probabilmente ebbe origine nei canti rituali che le mudang, le sciamane coreane, utilizzavano per comunicare con le divinità. Accompagnato da un percussionista che suona il tamburo buk (북), un cantante detto sorikkun (소리꾼) racconta storie della tradizione ben note a tutti i coreani che assistono allo spettacolo. Gli spettatori vengono coinvolti così profondamente da queste esibizioni piene di emozioni da far eco al sorikkun con svariate espressioni, come un 그렇지 “giusto!”, o un 좋다 “bene!”, e c’è anche chi si lascia trascinare dalla melodia mettendosi a danzare. L’emozionalità dello spettacolo è intrinseca a questo tipo di canto che è unico della Corea, dichiarato patrimonio dell’UNESCO nel 2003, e caratterizzato da una grande variazione di tonalità ed una sonorità che trae ispirazione direttamente dalla natura ed i suoi suoni. Come solo il grande registra coreano Im Kwon Taek è in grado di mostrarci nei suoi film, il canto p’ansori si fonde con gli ameni paesaggi della campagna coreana ed i suoi suoni, come il cinguettio degli uccelli, il fruscio delle foglie, il crepitio della pioggia, il frinire delle cicale, lo scroscio di un ruscello o di una cascata, in una maniera così spontanea da sembrare naturale.

Purtroppo sono giunte a noi soltanto 5 delle diverse storie della tradizione narrate con il canto p’ansori: Chunhyang-ga (la storia d’amore più famosa della Corea), Simcheong-ga (la storia di una figlia devota), Heungbu-ga (storia nella quale si esibirà Kim Jung Min nelle imminenti date italiane), Sugung-ga (della quale abbiamo parlato in questo articolo) e Jeokbyeok-ga (un racconto cavalleresco basato sulla leggenda della Battaglia di Chibi, conosciuta anche come Battaglia delle Scogliere Rosse).

Abbiamo avuto l’onore di rivolgere alcune domande a Kim Jung Min – che si esibirà questa sera a Roma, il 10 dicembre a Firenze e il 14 a Venezia – qui di seguito le sue parole preziose, ricolme di un’incredibile sensibilità artistica e umana.

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Come è nata la tua passione per il p’ansori? In che modo viene formato un cantante di p’ansori?

La performance di una delle 5 storie tradizionali di p’ansori può variare dalle 3 a più di 5 ore. In tutto questo tempo, però, non devo soltanto cantare ma è prevista anche una parte parlata (per spiegare ciò che sta accadendo nella narrazione) ed una parte in cui entra in gioco la mimica, dove è il corpo a essere protagonista con la gestualità fisica e la danza. Ritengo che questo tipo di forma d’arte non sia possibile da realizzare senza una forte passione. Dalla mia infanzia, quando sono stata iniziata al p’ansori, sono passati oltre 40 anni e non è mancato un giorno in cui non mi sia allenata. Nonostante ciò non vi è stata una volta in cui mi sia sentita stanca, o non sia stata felice di cantare. Si può dire che il p’ansori è quel fuoco di passione che rende la mia esistenza completa.

La formazione di un sorikkun (소리꾼), cantante di p’ansori, è particolare. Senza uno spartito dobbiamo accordarci al suono del tamburo, seguire la voce del nostro maestro e allo stesso tempo padroneggiare i nostri gesti. Ritengo che si tratti di uno studio che si realizza solo con una passione che riveste tutta la nostra vita, nella quale cerchiamo continuamente di perfezionarci e di riuscire ad interpretare il sentimento di un’epoca. In passato si andava a studiare in montagna, era uno studio disperato. Si andava presso una cascata a cantare in sintonia con lo scroscio delle acque. Anche io da giovane sono passata attraverso un simile tipo di allenamento. Col passare degli anni ho deciso di realizzare una stanza insonorizzata nella mia casa, dove potermi allenare anche fuori dall’orario di lavoro. In realtà passo la maggior parte del mio tempo in questa stanza.

Cosa significa per te il p’ansori?

Potrei dire che per me il p’ansori è qualcosa di talmente inestimabile da poterlo comparare ad un essere tanto prezioso quanto colei che mi ha messa alla luce, mia madre. Quando avevo circa 25 anni ho interpretato la protagonista femminile in un film di p’ansori, ottenendo il premio di “miglior nuova attrice femminile” al Grand Bell Awards (festival del cinema di Daejong). Sono anche apparsa in diversi drama che mi hanno permesso di ottenere fama e denaro. Ma la strada del p’ansori è qualcosa che avevo scelto da piccola, quando ero caduta vittima del fascino di quest’arte ed alla fine, per percorrere questa strada, ho rinunciato a tutto il resto. Al tempo mi presero tutti per una sciocca, ma ancora oggi io non rimpiango la scelta fatta allora, da quando il p’ansori ha reso la mia vita felice. Per me il p’ansori è un tesoro che non può essere sostituito con nessun’altra cosa al mondo.

Da italiana ho scoperto il p’ansori grazie ai film di Im Kwon Taek, in particolare Seopyeonje. Vedendo questo film ho potuto apprendere l’importanza dell’espressioni delle emozioni nelle performance dei cantanti di p’ansori. La protagonista del film, Song-hwa, fatica a lungo prima di riuscire ad esprimere nel suo canto quella disperazione necessaria per lo Simcheongga. Quali sono, per un cantante di p’ansori, i pezzi più difficili da cantare? E quali quelli che tu preferisci?

Se proprio devo indicare una delle parti più difficili per un sorikkun, direi che la narrazione non è facile. Per poter seguire correttamente gli insegnamenti dei nostri maestri, ci alleniamo giorno e notte, in un processo che richiede lo sviluppo di spirito artistico e creatività. Quando si arriva a performare un passaggio in maniera perfetta, è una gioia indescrivibile. Ogni singola parte è emozione e gioia, e se queste riescono ad essere ottenute e trasmesse in maniera appropriata, allora nessun passaggio si potrà dire difficile. Al contrario, se queste emozioni non si riescono ad ottenere, ogni passaggio sarà difficile.

Delle 5 storie tradizionali del p’ansori non ve n’è una che possa dire sia quella che preferisco o che mi è più a cuore. Onestamente, chiedermi quali sia il mio brano preferito è una domanda troppo difficile alla quale rispondere.

Come mai avete scelto di venire in Italia? Qual è stata la ricezione del p’ansori da parte del pubblico italiano?

Per quanto mi riguarda, ho sempre apprezzato lo spirito artistico degli italiani e desideravo tanto presentare la nostra preziosa arte all’Italia, la nazione dalla tradizione artistica più importante al mondo. La nostra esibizione, nel dicembre 2019 al Teatro Antonio Belloni, Barlassina (MB) è stata per me una rivelazione. Gli spettatori erano così concentrati ed immersi nel nostro spettacolo da non emettere nemmeno un suono, nemmeno il rumore del loro respiro. Vederli così mi ha spronato ancor di più nel voler dar loro una performance impeccabile. Mi sto preparando per potermi esibire di nuovo con altrettanta passione nelle prossime, imminenti, date italiane.

Per chi si avvicina per la prima volta a questa espressione artistica, cosa consigli?

Bisogna dire che uno spettacolo di p’ansori in Corea è un evento vissuto in maniera attiva dagli spettatori, che con il sorikkun condividono le emozioni, che esse siano di gioia o di dolore. Ma con gli italiani ottenere questa compartecipazione è difficile, così come ottenere una completa empatia con quelli che sono i sentimenti ed i contenuti dello spettacolo di p’ansori. Nonostante ciò credo che gli italiani, che hanno una spiccata sensibilità artistica, saranno in grado di apprezzare e comprendere, anche se solo in parte, questi sentimenti. Se avvertirete gioia, allora vi prego di ridere finchè il vostro cuore non sarà sazio di queste risate; se proverete tristezza, allora asciugheremo insieme le nostre lacrime.

Cosa ne pensi di band come i Leenalchi che fondono il p’ansori con la musica rock?

Io apprezzo e stimo tutti i generi di arte le cui esibizioni richiedono un alto livello di esecuzione. Naturalmente, il p’ansori tradizionale è qualcosa di prezioso, ma credo sia estimabile anche una nuova creazione che può essere ottenuta dalla collaborazione con altri tipi di musica, che più si adattano allo spirito dei tempi di oggi. Non posso che dare il mio incoraggiamento a quelli che ritengo siano buoni tentativi di progresso e di creazione di nuove forme di bellezza nella musica.

Intervista di Claudia Gifuni e Sara Bochicchio

Traduzione di Sara Bochicchio

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