Busan

Il mio viaggio nella Busan del Cinema

È emblematico che il primo riferimento che si associa a Busan, sia il film con Gong Yoo e Ma Dong-seok che affrontano un intero treno stracolmo di zombie. ‘Train to Busan’ è entrato talmente nell’immaginario comune, che è quasi impossibile non rievocarlo e sorridere, guardando il tabellone al centro della Stazione di Seul con le indicazioni dei treni in partenza.

Ed è con questo fotogramma in mente, che mi accingo a raccontare il mio viaggio a Busan, guidata da un immenso amore per il cinema (perdonatemi un leggero e smielato sentimentalismo). Questo perché, la seconda città più importante della Corea del Sud, ospita ogni anno il festival cinematografico più noto dell’Asia: il Busan International Film Festival (BIFF).

Parteciparvi era uno dei miei obiettivi da diversi anni, ma da umile, seppur tenace appassionata della settima arte, non è stata un’impresa che definirei agevole. Già il solo reperimento delle informazioni necessarie a pianificare l’esperienza ha richiesto dedizione e pazienza, non solo da parte mia, ma anche delle persone che vi hanno partecipato in precedenza, a cui mi sono rivolta per delucidazioni e suggerimenti.

Con le idee più chiare, mi sono preparata ad affrontare la battaglia, decisamente ardua, per l’acquisto dei biglietti. Doverosa premessa: la Corea del Sud vanta la rete internet più veloce della Terra. Ora tenendo presente questa informazione, immaginatemi alle 7:00 del mattino (le 14:00 in Corea) dall’Italia a sfidare un agguerrito esercito dal click supersonico. Una disfatta senza eguali: un solo film conquistato e neanche coreano (taiwanese).

Visualizzate il mio sconforto mentre barro a una a una sul quadernetto le mie preferenze, andate inesorabilmente sold out in una manciata di secondi. Una volta in Corea, tuttavia, ho monitorato online la situazione delle prenotazioni quasi ogni giorno, per intercettare eventuali cancellazioni, e alla fine ho iniziato il festival con un bottino di cinque biglietti. 

Il cuore del BIFF, situato nel quartiere di Haeundae, noto per l’omonima spiaggia, è il Busan Cinema Center, una struttura dal design elegante e contemporaneo. 

È circondato da un ampio spazio esterno che ospita il red carpet, alcune proiezioni serali, gli stand culinari (immancabile il pollo fritto, patrimonio nazionale!) e i talk con i registi e gli attori.

Quest’ultimi sono eventi gratuiti e, anche se purtroppo sono solo in coreano senza traduzione in inglese, consentono di avere un contatto abbastanza ravvicinato con i propri beniamini. Per me, il momento clou è stato stringere la mano a Song Joong-ki, durante il ‘giro di campo’ al termine della presentazione del suo ultimo film ‘Hopeless’.

Altra esperienza di pari intensità emotiva: l’incontro con il cast di ‘Cobweb’, composto dal regista Kim Ji-woon (ricorderete il suo ‘I saw the devil’) e dagli attori, per citarne alcuni, Song Kang-ho (non ha bisogno di presentazioni!), la divina Im Soo-jung (la protagonista di ‘I’m a Cyborg, But That’s OK’ di Park Chan-wook), Jeon Yeo-been (di recente nel kdrama ‘A time called you). 

Tornando, invece, ai film, il mio battesimo festivaliero è avvenuto con l’adrenalinico action movie ‘Ransomed’ con Ha Jung-woo (in ‘Mademoiselle’ di Park Chan-wook), ambientato in Libano. Al termine, un Q&A con il regista Kim Seong-hun (cito il suo precedente ‘A hard day’), anche questo purtroppo solo in coreano. Ho proseguito con il già citato lungometraggio taiwanese: ‘A Boy and a Girl’ del regista Li-da Hsu. Un lavoro struggente e brutale che mi ha estasiata e devastata allo stesso tempo.

Poi è stata la volta di due documentari, il primo ‘The voices of the silenced’ girato dalle registe Park Soo-nam e Park Maeui, madre e figlia, Zainichi, ossia giapponesi di origine coreana. Come indica il titolo, cerca di dare voce a quelle persone che, per diverse motivazioni sono state vittime di oppressione da parte dei giapponesi: emarginati esuli coreani, spesso vittime di efferate aggressioni, ‘comfort women’, ragazzine coreane rapite durante la seconda guerra mondiale per diventare le schiave sessuali dell’esercito del Sol Levante.

Forse proprio per l’importanza dei temi affrontati, questa volta c’è stata la traduzione in inglese del Q&A con le registe, al termine della proiezione. Ha completato la visione con ulteriori informazioni, ma anche con toccanti attimi di commozione. Infatti, il pubblico è stato molto coinvolto e partecipe: le domande sono arrivate copiose e spontanee. Per noi pochi stranieri presenti, è stata una preziosa occasione per conoscere degli aspetti del doloroso e complesso rapporto tra la Corea e il Giappone nel corso della Storia.

Con il secondo documentario, ho cambiato completamente argomento, si intitola ‘Watercolors’ e in tre episodi presenta altrettanti esponenti della scena musicale indipendente coreana. Per ultimo, il film a cui tenevo in maniera particolare (è stato davvero difficile ottenere un posto in sala!), ‘Past lives’ della regista Celine Song. Una storia coinvolgente sulla peculiare relazione tra i due protagonisti, interpretati in modo intenso da Yoo Teo e Greta Lee, ambientata tra Seul e New York. L’ho visto nella sala più incantevole del Busan Cinema Center, di fatto un teatro, strapiena, ma silenziosissima.

E a proposito della bellezza estetica dei luoghi del Festival, il primato se lo aggiudica senza alcun dubbio la Biblioteca, situata al quarto piano del complesso: un ambiente rilassante, con scaffali stracolmi di libri e riviste dedicati alla settima arte, con angoli per ascoltare i vinili delle colonne sonore, box multimediali per visionare film in tranquillità e postazioni per studiare, alcune delle quali rivolte verso delle vetrate che consentono di ammirare panorami mozzafiato di Busan. 

Completa l’opera una passerella con l’esposizione delle locandine delle rassegne cinematografiche organizzate nel corso degli anni nella struttura.

Nei pressi dell’ascensore che dal primo piano (non esiste il piano terra in Corea) porta al quarto della Biblioteca, si trovano le pareti con le impronte delle mani dei registi e degli attori che sono stati ospiti del Festival nelle varie edizioni. Non sono le uniche presenti in città, infatti un’altra serie è stata collocata lungo la BIFF Street in pieno centro, vicino alla BIFF Square, al cui interno svetta una scultura di una bobina di pellicola che si srotola verso il cielo. 

Sempre rimanendo in zona, è possibile visitare il Museo che Busan dedica all’arte cinematografica, in cui viene narrata la storia del cinema coreano, attraverso un percorso espositivo efficace e di notevole impatto visivo. 

Ampio spazio è riservato alle innovazioni tecnologiche utilizzate nella realizzazione delle opere, con la possibilità di provarne alcune. Vale la visita anche il piccolo bookshop, collocato a ridosso dell’uscita, in cui è possibile ammirare (e acquistare!) le stupende versioni coreane delle locandine dei film internazionali. 

Infine, nella principale città portuale della Corea sono stati ambientati numerosi lungometraggi, alcuni di quali diventati dei veri e propri cult. Come ‘Nameless Gangster’ del regista Yoon Jong-bin con un formidabile duo di protagonisti, Choi Min-sik (mattatore in ‘Oldboy’ di Park Chan-wook) e il già citato Ha Jung-woo.

Tratta della criminalità locale e delle battaglie per il controllo dei traffici illeciti cittadini negli anni ’80 e ’90. Una delle sue location è uno dei luoghi che mi ha maggiormente affascinata nel corso del viaggio: l’Huinyeoul Culture Village, un moon village, ex slum in origine abitato da rifugiati della Guerra di Corea, rinato in seguito al tocco di artisti che gli hanno donato una nuova e colorata veste, rendendolo uno degli spot più suggestivi di Busan.

Ospita una miriade di café, ristoranti, negozietti artigianali ed è costeggiato da una passerella a picco sul mare che regala una vista incredibile sulla città.

E con questa immagine concludo il mio racconto, chissà che non sia venuta anche a voi la curiosità di scoprire la Busan del Cinema e di partecipare al suo memorabile Festival!

Scritto da Magda De Luca

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